NUTRIZIONE: Svezzamento : come e quando?
da Francesca Ferrari | Set 7, 2018 | Nutrizione

Una nuova avventura. Una buona partenza.

Quando arriva il momento di nutrire i nostri figli con alimenti diversi dal latte materno la questione si fa sempre molto complicata, entrano in gioco fattori sociali, culturali, che mai come in questi tempi sono complessi e contradditori.

L’evoluzione naturale lascia spazio alla sola buona volontà di noi mamme, che alla luce delle conoscenze scientifiche attuali, cerchiamo di fare scelte alimentari per la crescita armoniosa dei figli, e ci rendiamo conto che l’istinto e l’intuito non bastano più.

Purtroppo siamo vittime dell’eccessiva informazione, manipolatoria e contradditoria, che con la sua ridondanza ci confonde e ci svuota e che ci fa mettere in discussione anche la conoscenza tramandata dalle nonne, quella conoscenza che infondeva in noi mamme una certa sicurezza.

Il cibo è diventato pervasivo, sempre pronto per un uso continuo, un consumo indifferente e banalizzato, e si perde il senso della convivialità e della sacralità intesa come rispetto dei tempi della natura.

Si parla ancora di svezzamento anche se non è il termine più corretto perché non si tratta di togliere un “vizio” al bambino – l’alimento principale rimane infatti il latte – quanto piuttosto di integrare la sua alimentazione nel migliore dei modi per favorire un passaggio graduale ai cibi solidi quindi a nuove consistenze, nuove forme, odori e sapori. Il termine esatto è “alimentazione complementare”, ma si sente anche “autosvezzamento”, inesatto ma semplice e immediato. La tendenza odierna, che è comunque quella di abbandonare lo svezzamento tradizionale come lo intendevano le nostre mamme e nonne, richiede a noi genitori di diventare parte attiva, anzi super attiva, nel cercare di imparare a conoscere e a capire i bisogni dei nostri figli.

Le tabelle dei pediatri, spesso rigide e impersonali, descrivono come preparare la pappa e quanta se ne dovrebbe mangiare, con un calendario ben preciso nell’introduzione degli alimenti tanto che la somministrazione sembra quella di un farmaco con dosi e orari; ma in effetti non spiegano a noi genitori i tempi di accettazione e i gusti di ogni bambino e a non preoccuparsi troppo delle porzioni che si definiranno automaticamente secondo l’appetito, il senso di sazietà, il ritmo dei pasti, la vitalità e il benessere del bambino.

Il “circa” diventa d’obbligo, come per tutto ciò che riguarda il nostro organismo, perché ogni individuo è unico e irripetibile.

Non possiamo e non dobbiamo più interpretare lo svezzamento come un cambiamento che va programmato con precisione, deciso in base ai soli criteri nutrizionali e statistici, ma come un momento pieno di incanto, necessario all’evoluzione di nostro figlio, tappa fondamentale che permette l’acquisizione di una propria identità.

L’idea quindi è quella di seguire maggiormente le “richieste” del bambino, saperlo osservare, interpretare i segnali che lancia e, quindi, sedersi a tavola insieme e recuperare la convivialità, perché il pasto è un momento sociale per eccellenza e il bambino ama guardare cosa mangiano i genitori.

Ovviamente ci vorrà un po’ di pazienza, ma non bisogna forzare i tempi perché come il piccolo si fida completamente della mamma e del papà, anche noi dobbiamo imparare a fidarci di lui.

Il bambino generalmente è pronto quando comincia a interessarsi al cibo e mostra il desiderio di voler assaggiare qualcosa. La letteratura scientifica mostra chiaramente che già dall’età di 4 mesi i bambini sono in grado di digerire e di metabolizzare molti alimenti, ma questo non basta: è infatti contemporaneamente necessaria la progressiva maturazione di quelle competenze neuro-motorie -quali il controllo del tronco, l’atto dell’afferrare, passare nelle due mani, mettere in bocca- che permetta al bambino di portare correttamente il cibo alla bocca. Non a caso questa concomitanza si realizza attorno ai 6 mesi, che diventano perciò il periodo in cui più probabilmente un bambino sarà in grado di iniziare questa esperienza (ma ripeto: più probabilmente, non certamente né sicuramente!).

Particolare rilevanza hanno le abitudini alimentari apprese fin dall’inizio, e per inizio intendo proprio il momento in cui il legame madre-figlio, quel “legame che nutre”, prende forma e fornisce un imprinting per tutti gli approcci successivi. È proprio in questa fase che l’organismo programma il suo funzionamento metabolico, è ora che si instaurano le abitudini alimentari che prevarranno nell’adulto, secondo la tesi dell’epigenetica: i geni vengono espressi a seconda dell’ambiente in cui si vive e quindi anche a seconda di quel che si mangia coi genitori, di quello che mangia la mamma durante l’allattamento e di quello che ha mangiato in gravidanza. L’alimentazione infatti non ha solo una valenza biologico-nutrizionale, ma anche emotivo-affettivo-interrelazionale; le scelte alimentari non sono solo frutto di autoconsapevolezza, ma sono indotte spesso da vari condizionamenti (famiglia, ambiente, pubblicità).

Il senso del gusto è in piena formazione, ma è anche soggetto alle memorie gustative acquisite già durante la vita prenatale, che si fissano nella memoria inconsapevolmente, insieme alle emozioni, motivo per cui è molto importante variare il più possibile senza arrendersi al primo rifiuto, ma anzi accettarlo di buon grado e riproporre l’alimento svariate volte, magari mangiandolo noi per primi, perché l’esempio e la ripetizione rassicurano il bambino.

Un clima ansioso a tavola non lo aiuterà a mangiare di più, è utile anzi in questi casi togliere l’enfasi sul problema e aspettare con pazienza che il bambino sviluppi i suoi gusti e le sue preferenze alimentari, in un clima sereno, guidato ovviamente dalla voce calma e rasserenante della mamma e del papà, che continueranno a educare il suo gusto in maniera versatile, senza quindi cadere nella monotonia (“gli do questa cosa perché a lui piace”) e cedere alla tentazione di aggiungere zucchero, sale o altri escamotage che accelerano, falsandolo, il processo di accettazione di un cibo meno familiare, e placano sì i timori e le paure dei genitori, ma fanno il male del bambino.

Il cibo, secondo le modalità con cui viene offerto, rappresenta il primo mediatore dei rapporti interpersonali percepiti e valutati dal bambino. È dimostrato che se ci sono modalità relazionali e affettive equilibrate, è difficile che possano emergere rifiuti netti per alcuni alimenti, è importante quindi – e insisto su questo- il ruolo imprescindibile che giocano le abitudini, l’influenza familiare, infatti, è determinante nel definire l’approccio col cibo ed è esercitata non solo da quello che i genitori propongono e raccontano ai figli – alimenti adatti e sani, la provenienza, i tempi di raccolta, le modalità di preparazione – ma anche dal rapporto che essi stessi hanno col cibo.

Lo svezzamento può essere quindi un bellissimo momento di crescita alimentare, consapevole, per tutta la famiglia e occasione di rivedere certe abitudini. Un vero e proprio passaggio educativo, non solo per i figli, ma in primis per noi genitori che siamo il loro esempio.

Ovviamente non va dimenticato che i bisogni nutrizionali del bambino sono specifici e devono essere soddisfatti da un’alimentazione altrettanto specifica, e quindi i pasti dovranno essere proposti in modo da fornire tutti gli elementi necessari e venire incontro alle sue esigenze; una corretta alimentazione è il presupposto essenziale per una crescita armonica e ottimale, per un buon sviluppo fisico e psichico e deve tener conto delle diverse fasi, caratterizzate da esigenze nutrizionali e competenze fisiologiche e comportamentali in evoluzione.

Affidarsi ad un esperto nutrizionista, quando possibile, è sempre la prima cosa da fare, se questa persona ovviamente rasserena la mamma, altrimenti consiglio di ritornare alle nonne o a tutto ciò che rende la mamma più sicura, perché in fondo il bambino quello che sente e che vive è lo stato d’animo della madre.

Invito caldamente, infine, anche i papà (che non si sentano affatto esclusi da questa trattazione, anzi!) a riflettere sul loro ruolo, perché se fino ad ora (gravidanza e allattamento) il ruolo attivo era stato più quello della mamma, mai come ora, in questa fase evolutiva del bambino, è importante che colui che porta a casa la “preda” come ci suggerisce il mondo animale, condivida la scelta del quando e del come, perché per la mamma è essenziale non sentirsi sola soprattutto quando si decide di fare questo passo in maniera più “naturale” possibile e quindi senza ausilio di liofilizzati, omogenizzati etc. etc.; il che richiede più tempo, più pazienza e più amore, ma tutte queste cose se condivise si moltiplicano!